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Razze e comportamento

Quando si trattano i problemi comportamentali dei cani è utile considerare che tutte le razze di cani abbiano in comune lo stesso repertorio comportamentale o è meglio valutare i disturbi razza per razza?

autore: Jan Vallace CABC

Considerate le enormi differenze morfologiche all’interno della specie Canis familiaris, può sembrare sorprendente il fatto che la moltitudine di razze condivida per la maggior parte lo stesso repertorio comportamentale, cosa che risponde indubbiamente a verità ( Scott e Fuller, 1965, Wickens, 1993). La storia della domesticazione del cane è esitata in razze sviluppate selettivamente, nella maggior parte dei casi, per il loro grado di addomesticamento e per i loro ruoli funzionali. Queste funzioni richiedevano che una data razza dovesse eseguire in modo affidabile, o essere facilmente addestrata ad eseguire certi comportamenti piuttosto che altri: la diversità delle razze si basa in origine sulla selezione per il comportamento piuttosto che per l’aspetto esteriore (Coppinger e Schneider, 1995). Quando la funzionalità ha progressivamente lasciato il passo ad altri criteri, - aspetto esterno per le mostre, status symbol, soggetti da compagnia, - le attitudini comportamentali selezionate in origine in ogni razza non sono andate perse e, in verità, sono poi in molti casi emerse come "problemi".
È stata una teoria molto diffusa, sostenuta da vari autori e addestratori e sulle riviste di settore negli ultimi anni, comunque, che il repertorio comportamentale del cane domestico, a prescindere dalla razza, può essere interamente spiegato paragonando il comportamento canino a quello del lupo, - la visione riduttiva del " lupo nel tuo salotto" o del " cane nel branco umano". Mentre geneticamente il cane è una specie di poco diversa e il lupo può quasi essere considerato una "razza" canina ( Coppinger e Schneider, 1995, Vila et al. 1997), lupo e cane sono ben distinti dal punto di vista anatomico e comportamentale.
Allo stesso tempo, la nozione contraddittoria che alcune razze fanno eccezione e hanno bisogno di trattamenti speciali, per esempio il pastore tedesco e il border collie, è stata una caratteristica della "cultura" dell’addestramento canino, - e la diffusione di corsi specifici per pastori tedeschi sembrava dimostrare che c’erano i pastori tedeschi e poi c’era il resto!
La teoria del cane come il lupo è stata utile per molti aspetti, in quanto ha aiutato a modificare alcune errate e irrazionali credenze riguardo al perché i cani fanno ciò che fanno e come dovrebbero essere accuditi e addestrati. La comprensione delle motivazioni di base e delle strategie comportamentali dei loro antenati selvatici ha portato ad un approccio "cane-mirato" nell’addestramento e nelle tecniche di modificazione comportamentale.
È comunque un errore sottovalutare gli effetti della domesticazione e della selezione di razza. Mentre si ritiene che il cane domestico discenda da poche, geograficamente diverse e polimorfiche specie sociali di lupo, canis lupus (Vila et al., 1997) e certamente molte intuizioni sul comportamento del cane possono scaturire dallo studio del lupo, canis familiaris non dovrebbe essere considerato come una mera ( e in qualche modo inferiore?) versione della specie selvatica. È quest’ultima visione che ha inibito seri studi della specie fino agli ultimi dieci o venti anni: le specie "selvatica" sono apprezzate, il loro comportamento è studiato e sono meritevoli di essere protette (Ingold, 1994) mentre la domesticazione in qualche modo svaluta, rendendo il comportamento di una specie domestica una pallida e meno "naturale" (e meno interessante?) copia della "vera specie".
Rivalutare il comportamento del cane alla luce del suo antenato lupo ha aiutato a riabilitare la specie come meritevole di essere studiata e per cambiare il suo strano contemporaneo doppio stato, - totalmente familiare, ubiquitario, di successo e ancora etichettato come "pet" e quindi poco serio. (Lo studio di Scott e Fuller fu soprattutto progettato perché potesse essere applicato agli esseri umani: il cane era una conveniente specie da laboratorio).
Nei 100.000 e più anni dalla sua origine ad oggi il cane domestico si è evoluto in maniera decisamente separata dal lupo, con molti aspetti caratteristici del suo comportamento che dimostrano l’influenza della sua vicinanza all’uomo. Il caso del basenji, una razza portata dall’Africa nel recente 1937 (il lavoro di Scott e Fuller fu condotto meno di trent’anni dopo) e che non è stato incrociato con nessuna razza Europea già presente, illustra la differenza trovata nel comportamento ereditariamente dimostrabile tra una razza geograficamente isolata che si è riprodotta relativamente libera dalla pressione selettiva della manipolazione umana e, per esempio, il cocker spaniel, la cui morfologia e comportamento è stata deliberatamente e selettivamente controllata per centinaia di generazioni (Scott e Fuller, 1965, Coppinger e Schneider, 1995).
Mentre esistono le dimostrazioni sperimentali che le razze ereditano la tendenza ad alcuni tratti comportamentali (Scott e Fuller, 1965, Goddard e Beilharz, 1985), studi a livello genetico su un largo campione di razze sono difficili da condurre, e da trovare, in quanto organizzazioni che siano in grado di mettere a disposizione un apporto finanziariamente adeguato a supportare studi tanto complessi probabilmente non sarebbero abbastanza interessate ai risultati di tali ricerche. Cani testati per le loro attitudini a divenire animali di servizio, come i cani poliziotto o i cani guida, sono rappresentati da poche razze, - di solito pastori tedeschi e labrador retrievers (Goddard e Beilharz, 1985, Wilson e Sundgren, 1997). Nel portare avanti questo tipo di sperimentazioni ci potrebbero anche essere implicazioni riguardanti il benessere degli animali – deprivazione di arricchimento ambientale, manipolazione sociale e genetica eccetera – necessarie per escludere fattori soggettivi (Scott e Fuller, 1965, Brown e al. 1978).
Le cinque razze studiate da Scott e Fuller (1965) mostrarono una significativa variazione delle caratteristiche comportamentali ereditarie, e lo stesso fu per le quattro (diverse) razze studiate da Goddart e Beilharz (1985) per l’attitudine genetica alla paura, suggerendo che è stato testato in modo sufficientemente rigoroso che tutte o la maggior parte delle razze dimostrano un qualche grado di variabilità nei tratti comportamentali ereditari .
Far riprodurre in modo altamente selettivo per ogni singolo fattore inevitabilmente seleziona altre a volte imprevedibili o indesiderabili caratteristiche ereditarie e l’uomo può allevare, inconsapevolmente o insensatamente, i cani (o tipi) che desidera insieme a problemi che non desidera.
Quando volpi in cattività allevate per la pelliccia furono fatte riprodurre selettivamente per la loro "mansuetudine" nei confronti dell’uomo, il colore del loro mantello diventò sbiadito o screziato, le orecchie divennero cadenti, le code arricciate e cominciarono ad andare in estro due volte l’anno ( Belyaev, 1981), suggerendo che la manipolazione di un fattore genetico (funzione o temperamento) ne modifica simultaneamente un altro (morfologia) e viceversa ( Coppinger e Schneider, 1995).
Il breve ciclo riproduttivo del cane e il grado sempre crescente di controllo umano sulla riproduzione, sta a significare che le razze possono cambiare (e lo fanno) il loro aspetto in un lasso di tempo molto breve. La richiesta di varietà e aspetto "esotico" assicura che una grande varietà di razze siano disponibili come "pets". Se una razza viene selezionata per l’aspetto e non più per svolgere determinate mansioni, saremmo in errore nel ritenere che il comportamento che osserviamo nella versione "moderna" è solo il "vecchio" comportamento vestito di nuovi abiti?
Le esagerate e distorte caratteristiche del moderno basset hound, per esempio, lo rendono praticamente irriconoscibile rispetto alla razza da lavoro di cento anni fa. Selezionare per il comportamento ha un "effetto collaterale" sulla morfologia: selezionare per la morfologia è improbabile che non influenzi il comportamento. "Comportamento" è un concetto ambiguo, in particolare se considerato nel corso del tempo; chi può descrivere con oggettività il comportamento del basset hound "originale"? Potremmo essere fuori strada se pensiamo che il repertorio comportamentale di una data razza sia statico o fisso nel tempo e replichi quello dell’originale razza da lavoro; è più probabile che il comportamento di una razza continui ad evolversi e dovremmo diffidare delle razze stereotipate come se un repertorio comportamentale fosse trasferito direttamente da contesto funzionale o di lavoro a un contesto di casa per animale da compagnia.
È interessante notare che razze la cui funzione era originariamente di lavorare soprattutto in stretta vicinanza fisica e cooperazione con l’uomo (apprendere complessi moduli comportamentali, inibire gli attacchi, avere una "bocca soffice", riportare), sono i cani da caccia con le orecchie pendenti, le teste arrotondate , la tendenza a scodinzolare e un alto grado di "immaturità" (Scott e Fuller, 1965, Bradshaw e al., 1996). Alcune di queste razze sono diventate l’ideale popolare del "Cane di famiglia".
Tutto questo non per affermare che gli incroci sono senza problemi: la credenza comune che il bastardino sia forte e senza problemi è contraddetta dalle prove statistiche riportate negli studi sui problemi comportamentali (Sherman e al. 1996, Roll e Unshelm, 1997, rassegna di casi APBC). La credenza che negli incroci le caratteristiche gradite sono conservate e quelle sgradite sono minori è chiaramente errata (Goddard e Beilharz, 1985).
Nonostante l’eredità genetica predisponga la specie e quindi le singole razze a una varietà di risposte, motivazioni e comportamenti, l’effetto dell’esperienza e dell’apprendimento, dei fattori ambientali e sociali, della condizione ormonale e del genere (maschile o femminile, n.d.t.) modifica tali predisposizioni. Tutte le razze fino ad ora esaminate hanno una capacità di apprendimento simile, nonostante ci siano variazioni riguardo alla facilità di addestrare o al tipo di apprendimento più prontamente acquisito (Scott e Fuller, 1965) il che è significativo per la scelta della razza o per il successo nella relazione uomo/animale. Comunque, la plasticità comportamentale da sola non è sufficiente a fornire la motivazione interna che, per esempio, porta un border collie a lavorare con le pecore o un husky a tirare (Coppinger e Schneider, 1995).
Le pressioni sul cane da compagnia perché si adegui all’uomo e/o ai requisiti richiesti dalla società spesso dà luogo a comportamenti sgraditi. Come soggetti da compagnia, i cani sono frequentemente selezionati per il loro aspetto o taglia piuttosto che per le caratteristiche comportamentali. Nel caso del border collie, è spesso vero il contrario: la sua reputazione di intelligenza e addestrabilità rende popolare la scelta della razza causando molti cani e padroni infelici. Un comportamento che non sarebbe considerato un problema (per il cane o per l'essere umano) nel contesto in cui la razza si è originariamente sviluppata, spesso diventa indesiderabile in ambiente domestico:; per esempio l’abbaiare eccessivo, l’aggressività territoriale, l’inseguire il bestiame o gli animali da cortile.
Il comportamento non può essere previsto in maniera affidabile a partire dalla razza, ma la comprensione della probabile soglia di reattività o aggressività di una data razza e dei fattori che più probabilmente la determinano può fornire una eventuale base sulla quale cominciare a districare la complessa storia di un problema comportamentale (Bradshaw e al. 1996, Hart e Hart, 1983). Ha poco senso cercare di insegnare le sottigliezze dell’agility a un terrier isterico o tentare di allettare un collie che sta inseguendo qualcosa con del cibo. L’aggressività è il problema più frequentemente riportato ma è una definizione che corrisponde a "fare di ogni erba un fascio" che tende ad includere tutte le manifestazioni agonistiche e, in paragone molto più raramente, l’intento di causare danno (vedere la contraddittoria definizione di "aggressione" in Sherman e al., dove manifestazioni di avvertimento sono sinonimo di aggressione, e Roll e Unshelm, dove lottare è definito aggressione).
L’aggressività, a differenza della "dominanza" (la diagnosi più popolare per una moltitudine di problemi comportamentali) è ereditaria (Drews, 1993), ma il morso veloce, il ringhio e la minaccia con i quali il cane cerca frequentemente di evitare il conflitto sono parte del repertorio comportamentale canino normale, anche se questo è meno complesso di quello del lupo e più ricco di contatti fisici, almeno in parte grazie alla manipolazione della morfologia delle razze causata dalla selezione da parte dell’uomo (Goodwin e al. 1997), e nonostante altri canidi usino meno segnali del cane e del lupo.
Differenze di taglia e di forma del corpo possono essere apparire come minacce visuali e rendere difficile il riconoscimento da parte dei conspecifici. Sono stati osservati meno segnali intraspecifici nel cane che nel lupo adulto (vedere Coppinger e Schneider, 1995, per un resoconto della connessione tra morfologia facciale e neotenia) e più la morfologia di una razza è differente da quella del lupo adulto meno sviluppato e/o affidabile è il repertorio di segnali (Wickens 1993, Goodwin e al. 1996). Alcune razze , naturalmente, sono state sviluppate esplicitamente per la loro tenacità e la loro determinazione a lottare (non sorprende molto che il popolare [in Inghilterra n.d.t.] Jack Russel occupi un posto alto nella graduatoria delle razze più frequentemente riferite per problemi di comportamento [APBC]). La selezione di razza ha effettivamente sovvertito uno dei segnali di invito al gioco più affidabili nell’American pit bull terrier, dove l’inchino per gioco (play bow) è ora parte delle manifestazioni comportamentali agonistiche della razza (Wickens, 1993).
La tendenza a spaventarsi è stata dimostrata essere un comportamento ereditario (Dykeman e al. 1979, Brown e al. 1978, Goddarte Beilharz, 1985) e siccome l’aggressività è spesso una conseguenza o una manifestazione della paura è possibile che una tendenza ereditaria a spaventarsi contribuisca all’instaurarsi di un comportamento aggressivo legato alla paura. Thorne (1944) suggerisce che l’estrema timidezza sia un tratto dominante. La "sindrome rabida", o aggressione improvvisa e non provocata potrebbe avere una base genetica in alcune linee di cocker spaniels e di cane Bernese da montagna (e forse di altre razze) e nonostante ci siano teorie per spiegare questo comportamento come la frustrazione di un comportamento innato o la sottile ma significativa provocazione nel cocker (O’Farrel,1992), tuttavia questo comportamento è indicativo di una bassa soglia di aggressività che è probabilmente ereditaria.
Non vi è dubbio che certe razze siano rappresentate più di altre nelle consultazioni comportamentali (A.P.B.C., Roll e Unshelm 1997, Sherman e al. 1996) e il Pastore tedesco rappresenta il maggior numero di soggetti per l’aggressività in tutti e tre gli studi statistici nonostante le differenze culturali, le probabili differenze nelle linee di razza e le variazioni nel modo di raccogliere informazioni nel Regno Unito, in Germania e negli Stati Uniti rispettivamente. Naturalmente la taglia e la percezione pubblica di questa razza possono in parte spiegare il numero dei casi riferiti. Comunque interessanti correlazioni fra i proprietari di una data razza, il sesso del proprietario, lo stile di addestramento e di menagement e il comportamento erano presenti nello studio di Roll e Unshelm.
La rassegna di casi dell’APBC del 1998 riportava, per esempio, che i cani con problemi di aggressività legati allo stato gerarchico era più probabile avessero un proprietario maschio mentre le aggressioni per paura nei riguardi di altri cani erano il problema più comune delle proprietarie femmine single: sarebbe utile investigare se c’è una qualche correlazione tra la razza e il fatto che il proprietario sia maschio o femmina. Potrebbe essere che il tipo di razza predice in qualche modo il tipo di proprietario o lo stile di gestione e, certamente in modo aneddottico, vi sono moduli comuni che coinvolgono una data razza, una data serie di circostanze e un conseguente problema.
Una comprensione della diversità comportamentale delle razze di cani può solo essere utile nella diagnosi e nel trattamento dei problemi comportamentali, ma bisognerebbe essere cauti nell’ipotizzare correlazioni tra razze e problemi. C’è un grande range di variabilità all’interno di ogni razza e la storia di ogni problema comportamentale è multifattoriale. Inoltre accurate e oggettive informazioni sulle caratteristiche della razza per i futuri proprietari potrebbero aiutare ad evitare sia problemi comportamentali dovuti a errate convinzioni e disinformazione sulle esigenze della razza e del suo comportamento che la conseguente delusione delle aspettative. Come queste informazioni possano essere date prima dell’acquisto del cane e quindi prima che il danno sia fatto è un’altra questione. Studi che raggruppano le razze a seconda dell’addestrabilità, reattività eccetera (Bradshaw e al: 1996, Hart, 1995), anche se fatti sulla base di opinioni soggettive di professionisti del settore e quindi in qualche modo influenzati dalle opinioni personali o dalla personale esperienza, sono di reale e pratico aiuto, ma la questione di una affidabile distribuzione delle informazioni rimane. Quello che deve essere evitato sono le indiscriminate generalizzazioni qualche volta fatte nelle riviste riguardo alle caratteristiche delle razze: "You Dog" magazine (Maggio 1999, "Consigli sulle razze", p.11) [ periodico di settore Inglese n.d.t.], sull’Airdale terrier afferma " L’Airdale è un fedele cane da compagnia che è completamente affidabile con i bambini" ! (il corsivo è mio). 

Riferimenti Bibliografici

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